giovedì 30 giugno 2011

QUOTE ROSA NEI CDA


I consigli di amministrazione delle aziende quotate e delle società a partecipazione pubblica a partire dal 2012 saranno composti per un quinto da donne: lo ha stabilito la legge che il 29 giugno 2011 con un sì bipartisan della Camera (438 sì, 27 no e 64 astenuti). La quota prevista per il 2015 sarà di un terzo.
Un passo controverso, rispetto al quale ben si esprime la vicepresidente del Senato Emma Bonino, che conosce da vicino le lotte per il riconoscimento dei diritti delle donne ed è meritatamente riconosciuta per questo a livello sia nazionale che internazionale: “Intanto non posso pensare a una società per quote, e poi non cambierà nulla”, commenta. Il problema, chiarisce con un’annotazione più che condivisibile, sarebbe più nel costante disattendere la meritocrazia, che permetterebbe invece di premiare automaticamente donne e uomini sulla base del criterio appropriato, ovvero quello della competenza e non del sesso: “La immagino applicata all’italiana, dove la cultura del merito è spesso invocata, ma mai praticata. C’é davvero poco per le donne per festeggiare, e molto per scandalizzarsi. Stanno rubando alle donne quattro miliardi di euro, con l’equiparazione dell’età pensionabile delle donne con quella degli uomini nel pubblico impiego ci sono stati dei risparmi. Quantificati dal governo in quattro miliardi in dieci anni: dove sono finiti?”
In effetti se si procedesse per riconoscimento di meriti, il sessismo verrebbe automaticamente sbaragliato, l’Italia sarebbe gestita meglio e non ci sarebbe l’umiliazione delle quote rosa.
Altrettanto condivisibile è però in fondo il commento dell’Unione Donne dell’UDI: “Forse non è quello che avremmo voluto e passeranno decenni prima di liberarci dall’espressione  ‘quote rosa’ con tutto quello che significa, ma in politica occorre avere lo sguardo lungo. Immettere una discontinuità in comportamenti consolidati produce effetti che non possiamo prevedere e che non possiamo controllare. Non possiamo sapere oggi cosa penseranno e cosa faranno la  donne che entreranno, per legge nel 2012, nei consigli di amministrazione, sappiamo per certo che ci saranno più donne. Possiamo anche azzardare che non saranno penalizzati – come dicono alcuni -  il merito e la competenza, perché “a pari merito” in questo nostro paese la parola d’ordine è: prima i maschi vecchi, poi i maschi”.
Per una interessante e chiara panoramica dell’iter del disegno di legge e per ulteriori commenti, si veda il post PARI OPPORTUNITA’. Sì della Camera alla legge sulle quote rosa nei cda di Delt@ Anno IX, n. 146-147 del 29-30  giugno 2011, da cui ho tratto le infornazioni per il mio

domenica 26 giugno 2011

CAMBIA IL VENTO, MA IL SESSISMO È LO STESSO


Il maschilismo evidentemente non ha partito. Lo conferma il manifesto della Festa dell’Unità svoltasi questa settimana a Roma (23-24 giugno 2011) che recita “Cambia il vento” e mostra una variante della classica immagine di una gonna che si alza al vento, alla Marilyn Monroe o alla Woman in red, per capirci.

La segreteria di partito si difende così: “Un paio di gambe sono automaticamente equiparabili a un’immagine offensiva o volgare come quelle delle ‘olgettine’ che circolano sul web? Sono la stessa cosa o c’è una differenza? Qual è il confine oltre il quale comincia la mercificazione o l’uso improprio? Il manifesto è una citazione pubblicitaria, una rievocazione di Marilyn Monroe del film Quando la moglie è in vacanza, divenuta un’icona. Può piacere o non piacere. Ma è davvero riprovevole? Utilizziamo questa occasione per ragionare insieme su come si combatte la vera mercificazione del corpo delle donne anche nella comunicazione politica”.

Su una cosa sono d’accordo: è il caso di “utilizzare questa occasione per ragionare insieme su come si combatte la vera mercificazione del corpo delle donne anche nella comunicazione politica”, ovvero di denunciare come maschilista, avvilente e degradante questa scelta del PD.
È come quando si dice che “la fica fa girare il mondo”. Sarà, ma per me che non sono lesbica non è così, e io sono parte del mondo. Qui è la stessa cosa: il manifesto si rivolge chiaramente a un pubblico maschile attraverso il corpo della donna. Non è una questione di volgarità, di piacere o di non piacere, ma di esclusione delle donne quale interlocutore politico e della loro mercificazione per il consumo maschile. Donne come oggetto, non come soggetto politico (donne il cui voto, fra parentesi, è stato fondamentale nelle amministrative e nei referendum nazionali del 12 e 13 giugno, come ha giustamente fatto notare il comitato nazionale di "Se non ora, quando").

Che sia una citazione è evidente: è ciò che si decide di citare che può essere più o meno appropriato. Ecco quello che si coglie da questa citazione: cambia il vento, e ci riporta dritti agli anni ’50.

lunedì 20 giugno 2011

ANCORA DALLA PARTE DELLE BAMBINE



Superata una iniziale introduzione facilona e qualunquista e le imprecisioni, gli stralci di canzoni fuori contesto, e il senso comune superficiale che di quando in quando emerge nelle pagine di “Ancora dalla parte delle bambine”, alla fin fine questo libro di Loredana Lipperini ha diversi meriti. È vero, a volte va anche fuori tema e glissa invece su aspetti fondamentali (o perlomeno su aspetti che io considero tali), ma è complessivamente una lettura interessante.
Le fonti spaziano dai blog e forum in rete, all’esperienza personale di madre, agli studi scientifici o pseudo tali, alle canzoni pop,  alle statistiche ufficiali, alle notizie di cronaca nera, alle pubblicità, all’osservazione di quanto complessivamente emerge dalla televisione (rispetto alla qule ad esempio è spesso superficiale, ma ha il merito di citare a proposito il meraviglioso libro "Tutto quello che ti fa male ti fa bene", di Steven Johnson) ai giornali dedicati alle bambine e a parecchio altro. Questi sono gli aspetti più densi e significativi, che rimangono impresso, permettendo di toccare con mano alcuni dati su come la cultura contemporanea educa bambini e bambine su che cosa significhi essere bambine e donne.
Un assaggio, solo per dare un’idea, da pag. 231, che riporta la ricerca che Monia Azzalini ha curato nel 2007 per Osservatorio di Pavia Media Research dal titolo ‘TV locale e rappresentazione di genere’, per rilevare la presenza femminile nei TG di Valle d’Aosta, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Toscana e Sardegna:
“Le donne che conducono un telegiornale sono il 36,4% contro il 63% degli uomini. Le corrispondenti e le reporter sono, invece, addirittura in maggioranza in non pochi casi. Ma quali sono le tematiche che affrontano? “Le donne”, scrive Azzolini, “sono meno delegate degli uomini alla politica, si occupano prevalentemente di arte, cultura e spettacolo e di educazione”. Quando l’indagine si sposta sulla visibilità femminile nelle notizie, la divergenza è ancora più forte: su 1308 soggetti classificati (persone di cui si parla o a cui si dà la parola), solo il 14,8% è di sesso femminile. […] Gli esperti di sesso maschile sono il 15% ei casi contro il 6,7%. Mentre le donne sono rappresentate in funzioni “di scarso prestigio quali l’opinione popolare, la testimonianza e l’esperienza personale: ruoli che non richiedono né status né professionalità”.

La lettura è ricca di spunti e direi che, nonostante parecchi scivoloni, vale comunque la pena.

domenica 12 giugno 2011

Dal Blog Telesofia: LE ELEZIONI DEGLI M&M's e gli stereotipi di genere



"Già c’è abbastanza discriminazione basata sulla diversità di genere in TV senza che ci si mettano pure gli M&M's. L’idea dei noti confetti di cioccolato in campagna elettorale, come mostrato in recenti spot pubblicitari, di per sé è simpatica.

Era già stata fatta negli Stati Uniti e in Australia, dove si prestava anche di più visto che potevano parlare di “candydates” al posto di canditati, giocando sul fatto che “candy” sono i dolciumi in inglese. È divertente notare anche i colori: da noi il blu è la destra e il rosso la sinistra, negli Stati Uniti è l’inverso e anzi, si vede l’M&M Blu parafrasare un noto discorso di Kennedy, “Chiedetevi che cosa voi potete fare per i vostri dolciumi”, mentre da noi il Blu è chiaramente Berlusconi con “Prometto un milione di M&M's per voi”, a cui il Rosso risponde con “La risposta al magna-magna sono io”. Il Giallo dichiara che la sua posizione politica è in poltrona. L’Arancione, mostrato mentre scende da un aereo, è terrorizzato dalla folla davanti a lui: “Che cosa penso della crisi? Ne ho una ora”. Fin qui niente di male.

Online ho trovato il video di uno spettatore australiano che si lamentava fortemente della mancanza di un M&M marrone, cosa che mi pare sensata. Io ho notato con irritazione che l’unico M&M a cui vengono attribuiti tratti sessuali femminili è l’M&M verde. Uno su 5 è un po’ pochino tanto per cominciare, potevano essere almeno due.

E poi che cosa fa questo M&M? Lancia un bacio fuori dal finestrino di una limousine, dove si trova con due agenti della sicurezza, dicendo “Ragazzi, li scaldo io gli elettori”, insomma, le è rifilato il solito ammiccamento sessuale. Mi si permette un sentito “che schifo!”? Qui c’è lo stereotipo di genere più stereotipo che c’è. Non c’è la scusa del corpo della donna a distrarre, qui il corpo è come quello degli uomini, una nocciolina ovale ricoperta di cioccolata. È l’idea della donna che è vergognosa. E sì che con il verde non dovevano nemmeno sforzarsi troppo, potevano farla leghista o ambientalista. E non c’è nemmeno da illudersi che sia solo un problema italiano: l’ho constatato anche per l’Australia, dove in manifesti elettorali, Miss Green sta “Working the Polls”, Lavorando per “le votazioni”, con l’M&M donna intorno al palo di un albero. Sembrerebbe ambientalista se non fosse che per la posizione che assume sembri più “Working the Poles”, “lavorando per lo spoglio” potremmo dire per trasformare in italiano il doppio senso, lavorando come danzatrice intorno a un palo".

lunedì 6 giugno 2011

COL CA**O


Forse dovrei farmi dare una mano da un uomo a scrivere questo post, visto che il mio essere donna potrebbe portarmi all’improvviso e a mia insaputa un incontrollato rigurgito di sentimentalismo. O almeno così pare pensare il premio Nobel per la letteratura VS Naipaul, il quale giovedì 2 giugno 2011 ha dichiarato a The Guardian che non c’è alcuna autrice donna che consideri sua pari, nemmeno Jane Austen.

A onor del vero, la domanda, posta giovedì scorso dal Royal Geographic Society, non era molto più intelligente della risposta, visto che poneva esplicitamente la questione in termini di genere. Ma approfondiamo.
Naipaul ha dichiarato che considera la scrittura femminile “piuttosto diversa”, tanto da essere per lui possibile riconoscere il genere dell’autore entro poche righe, anche senza saperne prima l’identità. In particolare, ha ulteriormente elaborato Naipaul, l’inferiorità delle scrittrici donne è dovuta al loro sentimentalismo e alla loro visione ristretta del mondo. Sic.
Ammetto che questo mi fa abbastanza sorridere, perché una visione ristretta del mondo in fondo è quella che disprezza ciò che è diverso da sé – esattamente ciò che sta facendo Naipaul. Quale visione è più ristretta di quella che esclude il contributo letterario di metà del mondo solo perché non coincide con il proprio stile?
Ancora: essere in grado di distinguere il genere nella voce di un autore non è necessariamente un male: implica che rende pregnante una prospettiva.
Infine, dire che si è capaci di distinguere gli scrittori dalla scrittrici significa dire non solo che si riconoscono le scrittrici, ma anche gli scrittori - i maschi, cioè: se questo è un limite, insomma, perché porta una visione solo parziale, “ristretta”, allora lo stesso limite si pone per la visione maschile, ugualmente riconosciuta da Naipaul.

Ora, potrei fare tantissimi esempi di scrittrici tutt’altro che sentimentali (Mary Gaitskill, Iris Murdoch, Antonya Nelson, Margaret Atwood, solo per citare le prime che mi vengono in mente), e di scrittori che hanno invece una sensibilità anche sentimentale (pensiamo a Raymond Carver, o anche a J. D. Salinger, anche qui solo per fare degli esempi). Il punto è questo: essere più o meno sentimentali non rende un autore più o meno bravo. Scrivere meglio o peggio rende un autore più o meno bravo, indipendentemente da quanto è “sentimentale”.

Che cosa significa poi “sentimentale”? Può significare un atteggiamento troppo languido e sdolcinato, è vero, ma significa anche una scrittura “dotata di una forte sensibilità”, il che non è necessariamente un difetto. In fondo, il suo contrario rischia di essere ‘cinico’ o ‘insensibile’. Non lo direi preferibile.

In conclusione, Naipul è un bravo scrittore, migliore di molti e di molte altre, ma la sua qualità non risiede nei genitali. Purtroppo, dalla sue risposte non si direbbe.