domenica 31 luglio 2011

CI VUOLE CORAGGIO




Non so se ve ne eravate accorti, ma fino ad ora la Pixar non ha mai prodotto un film che avesse come protagonista una donna o una bambina. Mai. Ha all’attivo 12 film d’animazione. Tutti protagonisti maschili.
Ora finalmente infrange questo pattern vergognoso, con il primo film con una protagonista femminile. Si tratta di “Brave” (originariamente intitolato “The bear and the bow” - “L’orso e l’arco”): le vicende si svolgono nelle Highlands scozzesi medievali, e la protagonista, la principessa Merida, sfida i suoi genitori per perseguire l’amore per un arciere. Questo la porterà a mettere involontariamente a rischio il regno del re suo padre, e la sua avventura la vedrà ristabilirne l’ordine combattendo una misteriosa forza nera della natura che vuole annientare il trono.
Un rischio porre come protagonista una bambina? Ritengo di sì, perché il titolo in italiano sarà “Brave – Coraggiosa e ribelle” (perché “coraggiosa” a quanto pare non era sufficiente…), ed essendo declinato al femminile potrebbe alienarsi il pubblico dei bambini, che non sono culturalmente abituati a identificarsi con protagoniste femminili. È ora che si cominci, e finalmente anche Pixar fa la sua parte. Certo, mi scoccia enormemente che la motivazione che mobilita la protagonista sia l’amore perché rischia di riproporre il trito stereotipo di un mondo femminile circoscritto nel sentimento, ma mi accontento.
Il film dovrebbe uscire negli USA il 22 giugno 2012 e da noi si immagina poco dopo. La sceneggiatura è di Brenda Chapman, al regia della stessa Chapman e di Mark Andrews, la produzione di Katherine Sarafian e la musica di Patrick Doyle. In originale la protagonista sarà la splendida Emma Thompson. Speriamo che da noi la scelta sia altrettanto azzeccata.

lunedì 25 luglio 2011

A SCUOLA DI SESSISMO


Nel 2006 è uscito “Sessi e sessismo nei testi scolastici. La rappresentazione dei generi nei libri di lettura delle elementari”, un’indagine realizzata dalla dr.ssa Irene Biemmi, ricercatrice TD presso il Dipartimento di Scienze dell'Educazione e dei Processi Culturali e Formativi dell'Università di Firenze, negli anni 1998 – 2001 e pubblicata nel Quaderno n.29 del Consiglio regionale della Toscana, Commissione regionale pari opportunità donna – uomo.
Diamo un’occhiata.
Nei testi di narrativa esaminati, i protagonisti delle storie sono così distribuiti:

Come si vede, le bambine e le donne sono decisamente sotto-rappresentate, e la ratio disattende quella della popolazione reale.
Andiamo più in dettaglio. Ecco il rapporto maschi/femmine nei veri generi letterari insegnati:

E questi personaggi… Che lavoro fanno, di grazia? Partiamo intanto da presupposto che nei libri di testo su 70 protagonisti maschili 49 lavorano, mentre tra le 32 protagoniste femminili, solo 18 di loro lavorano. E che scelta hanno? Beh, non proprio uguale: i maschi hanno a disposizione ben 50 lavori diversi, le femmine solo 15.

Andiamo avanti, facciamoci del male. I protagonisti maschili fanno i seguenti “lavori”:
re, cavaliere, mago, maestro, scudiero, scrittore, dottore, poeta, pescatore, pittore, pirata, , paggio, mozzo, medico di bordo di una nave, meccanico, ombrellaio, nobile, navigatore, scultore, alunno, scienziato, valletto, taglialegna, studioso, sceicco, viaggiatore, presidente di una squadra di calcio, profeta, riparatore di sedie, venditore, barbiere, Babbo Natale, artista, bibliotecario, cantante, boscaiolo, architetto, artigiano, arrotino, giornalista, giocatore di carte, marinaio, geologo, contadino, comandante, capitano di nave, crociato, ferroviere, esploratore, esattore delle tasse.

Ecco invece i “lavori” delle protagoniste femminili:
maestra, strega, maga, scrittrice, Befana, nobile, nutrice, pittrice, attrice, principessa, fata, casalinga, castellana, bibliotecaria, indovina

Evidentemente lavori economicamente svantaggiosi, di carattere prevalentemente domestico e quasi del tutto slegati dalla realtà.
E come sono questi personaggi? I maschi vengono descritti con aggettivi quali:
sicuro, coraggioso, serio, orgoglioso, onesto, ambizioso, minaccioso, pensieroso, concentrato, bruto, avventuroso, autoritario, furioso, generoso, fiero, duro, egoista, iroso, virtuoso, tronfio, saggio, deciso, audace, libero, impudente

Le femmine con aggettivi quali:
antipatica, pettegola, invidiosa, vanitosa, smorfiosa, civetta, altezzosa, affettuosa, apprensiva, angosciata, mortificata, premurosa, paziente, buona, tenera, vergognosa, silenziosa, servizievole, comprensiva, decile, deliziosa, delicata, disperata, ipersensibile, dolce, innocente

Se poi invece soffermiamo la nostra attenzione sulle immagini, i bambini e gli uomini anche visivamente predominano numericamente, e vengono rappresentati in massima parte all’aperto (e se in casa, in soggiorno), impegnati in attività gratificanti, mentre le bambine e le donne vengono rappresentate in spazi chiusi, intente a curare il proprio aspetto, ad accudire bambole (o bambini se adulte) o a fare lavori domestici.
“Nei testi scolastici c’è una tendenza al’immobilismo”, osserva la Biemmi, “nel senso che si propongono contenuti culturali spesso più arretrati delle stesse conquiste legislative del paese, della stessa mentalità corrente, del senso comune. Questo vale anche per il modelli di maschio e femmina che sono fortemente stereotipati e mostrano immagini di uomini e donne irrealistiche e ormai superate nella realtà. Si nota soprattutto una discrepanza fra il mondo femminile mostrato nei libri, che ruota attorno ad attività domestiche e alla cura dei figli, e il mondo reale delle donne che per la maggioranza lavorano fuori casa”.
Fonte: "Ancora dalla parte delle bambine", di Loredana Lipperini, Feltrinelli ed.

lunedì 18 luglio 2011

UNA BOMBA ATOMICA SULLA MATERNITÀ A TUTTI I COSTI



“Da che mi ricordo non ho mai voluto diventare madre. Dall’età di 12 anni, quando facevo la baby sitter per i figli dei vicini per 75 centesimi all’ora e passavo l’intera giornata chiusa fuori casa mentre i bambini correvano selvaggiamente all’interno, la maternità non ha mai fatto per me. Ero incapace di prendermi cura di qualcuno più piccolo di me: avevo un blocco mentale – una reale antipatia – verso la costruzione di cappellini di carta e altri progetti che si suppone piacciano ai bambini”.
Questo confessa candidamente Rahna Reiko Rizzuto nel suo libro Hiroshima in the Morning. Dieci anni fa l’autrice aveva vinto una borsa di studio per fare ricerca sull’esperienza della bomba H in Giappone, intervistando i sopravvissuti in vista di un libro che in realtà ha finito per fare scalpore per gli elementi più personali del suo lavoro.
Nel raccontare della propria esperienza all’estero infatti, la Rizzuto ha riferito anche della propria esperienza di ricerca e della svolta che nel suo lavoro e nella sua vita ha costituito il trovarsi in Giappone durante l’11 settembre 2001, mentre il marito e i due figli erano a New York. Sì, perché la Rizzuto ha nel frattempo avuto due figli, accordandosi col marito che sarebbe stato lui a prendersene primariamente cura.
E così, nel raccontare delle interviste agli hibakusha e della sua avventura personale, ha accompagnato il lettore nella sua riscoperta di se stessa non più definita in relazione al ruolo sociale che aveva negli USA – come moglie e come madre – ma come se stessa. Ha potuto ri-scoprirsi e ri-conoscersi, esplorando possibilità prima non immaginate e arrivando all’inaspettata conclusione di non volere essere una madre a tempo pieno ma di volere dare nuovamente a se stessa la priorità.
E così, al suo rientro negli USA, la scrittrice ha lasciato il marito e i figli e ne ha dovuto affrontare le conseguenze. Come ha confessato alla trasmissione Today in un’intervista del marzo 2011, alcuni tra i suoi amici le hanno addirittura tolto la parola.
Eppure, non è questo che succede spessissimo ai padri? A un ceto punto alcuni si rendono conto che la famiglia non fa per loro e si separano, scegliendo una vita diversa e lasciando i figli alla moglie. Succede talvolta. Niente di scandaloso. Perché allora lo scandalo ora? Perché la critica “Non avrebbe dovuto avere figli se non li voleva” non estende la stessa valutazione anche agli uomini?
Io lo faccio. Penso che sia pericolosa e dannosa questa aspettativa condivisa di genitorialità a tutti i costi, sia per i padri che per le madri. Essere genitori può essere una esperienza splendida, ma se non si sente dentro di sé questo desiderio, bisognerebbe avere la saggezza di non fare figli, e questo vale sia per gli uomini che per le donne.
Per le donne c'è una doppia pressione però, perché ci si aspetta non solo che facciano figli, ma che li debbano comunque desiderare, che l'istinto di essere madri sia innato e presente in tutte le donne nello stesso modo e con la stessa intensità. Così, appena fidanzate - Quando ti sposi? Appena sposate - A quando un bambino? Dopo il primo figlio - A quando il secondo?

In fondo la Rizzuto vive affianco ai suoi figli, li vede regolarmente e ne ha l’affido congiuntamente al marito, trascorrendo con loro momenti migliori di quanto le sarebbe stato possibile se si fosse sentita fagocitata dalla maternità rimanendo all’interno della famiglia. Il tabù è quello dell’istinto materno come connaturato all’essenza femminile. La Rizzuto ha osato infrangere quel tabù.
L’intervista di Today alla dr.ssa Argie Allen, la direttrice di formazione clinica presso l’università di Drexel, è molto condivisibile a questo proposito: “Spesso nella nostra cultura siamo molto giudicanti e pensiamo ci sia un solo modo di fare la madre, un solo modo di fare i genitori. La verità è che non è così: ci sono molti modi di fare le madri e di fare i genitori che possono essere molto positivi”, spiega la Allen. “Bisogna capire che cosa funziona meglio per quella madre affinché dia il suo meglio ai propri figli. E se si pensa che sia necessario annullare se stesse, spesso questo purtroppo significa che chi fa così ha l’illusione di dare il massimo ai propri figli, ma la verità è che potrebbe non essere così”.
Il libro è bello e illuminante, non solo per questo aspetto. Da leggere per riflettere sugli effetti della bomba atomica reale e su quella metaforica sui nostri pregiudizi sugli altri e su noi stessi.  

lunedì 11 luglio 2011

IL CORPO DELLA DONNA IN TV



http://telesofia.blogspot.com/2011/04/manifesto-per-lutilizzo-responsabile.html
Recentemente ho visto il documentario "Il corpo delle donne" di Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi e Cesare Cantù (sì, due uomini su tre). Si tratta di un cortometraggio della durata di 24 minuti che affronta il tema della rappresentazione del corpo della donna, e quindi della donna, in televisione. Come spiega lo stesso sito, "Siamo partiti da un’urgenza. La constatazione che le donne, le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante. La perdita ci è parsa enorme: la cancellazione dell’identità delle donne sta avvenendo sotto lo sguardo di tutti ma senza che vi sia un’adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne medesime. Da qui si è fatta strada l’idea di selezionare le immagini televisive che avessero in comune l’utilizzo manipolatorio del corpo delle donne per raccontare quanto sta avvenendo non solo a chi non guarda mai la tv ma specialmente a chi la guarda ma “non vede”. L’obbiettivo è interrogarci e interrogare sulle ragioni di questa cancellazione, un vero ”pogrom” di cui siamo tutti spettatori silenziosi. Il lavoro ha poi dato particolare risalto alla cancellazione dei volti adulti in tv, al ricorso alla chirurgia estetica per cancellare qualsiasi segno di passaggio del tempo e alle conseguenze sociali di questa rimozione".

Avrei fatto volentieri a meno di alcuni commenti poco illuminati, diciamo così, sulla televisione e avrei voluto un po' di citazioni femministe e femminili in più, ma ritengo che valga la pena guardarlo, per quando certi stralci colpiscano allo stomaco e lascino il segno. Ma almeno qui non siamo presi alla sprovvista come capita invece a volte nell'accendere casualmente la tv.
E forse in parte è questo che dobbiamo fare: non accendere la tv casualmente, e non spegnerla casualmente, ma con criterio, con la consapevolezza che il telecomado di fatto è lo scettro dello spettatore con cui può cambiare le cose, almeno parzialmente, per quella piccola frazione di cui è parte come audience (e quindi come ritorno economico di chi produce i programmi e decide i palinsesti).

E in effetti, un tentativo per migliorare la situazione dell'immagine della donna in tv c'è stato, e ne parla un interessantissimo post del blog Telesofia, che affronta il tema dell'immagine della donna in tv, e che condivido qui sotto nella sua interezza. Lo so, è un po' lungo, ma prometto che ne vale veramente la pena.

Dice Telesofia:
"Recentemente si è parlato molto dell’immagine che si dà della donna in TV e sui media genericamente intesi, condannandoli per una rappresentazione che sarebbe lesiva della dignità. Il comitato “Pari o Dispare” ha pensato di “passare al contrattacco” con un’iniziativa concreta: la presentazione di un “Manifesto per l’utilizzo responsabile dell’immagine femminile”, a cui hanno aderito, sottoscrivendolo, diverse aziende. Sono già una ventina, anche molto importanti (come Accenture, Johnson & Johnson, Kroll, L'Oréal, Microsoft, Unilever/Dove, Vodafone…), e altre se ne stanno aggiungendo. La campagna durerà tutto l’anno. Il Manifesto è stato presentato lo scorso 21 marzo, a Milano, in una conferenza stampa che trovate sopra nella sua interezza. Sotto avete una sintesi, quasi una trascrizione, in alcuni passaggi, di quanto hanno detto i vari relatori. Ai diversi interventi sono stati alternati dei video pubblicitari, analizzati, come un vero e proprio “aiuto a guardare”, a cura di Non Chiederci la Parola. Tra parentesi, Pari o Dispare (PoD) ha anche creato un gruppo su Facebook per chiedere alla RAI un osservatorio contro gli stereotipi di genere.


CRISTINA MOLINARI, presidente di PoD, ha esordito spiegando che il nome nasce dalla convinzione che in Italia le donne nascono “pari” ma poi tendono a crescere “dispare”. In Italia, rispetto alla posizione della donna siamo i penultimi nei Paesi Europei, cosa che limita il Paese, economicamente, culturalmente e socialmente. L’impegno di PoD è legato a due filoni: lavoro (qualitativamente e quantitativamente) e gli stereotipi dei media (stampa televisione, pubblicità). Questi ultimi sono anche visti come causa ed effetto del modo in cui è poi trattata la donna nel mondo del lavoro. In questa sede si parla di stereotipi nella pubblicità, nello specifico, perché questa ci bombarda costantemente e ha un influsso costante (per la strada, coi cartelloni, alla radio, al cinema, quando guardiamo la tv), e anche se non ce ne rendiamo conto in modo esplicito, ci influenza. Le donne il più delle volte vengono rappresentate come “cretine o come animali d’ornamento”. Alla fine ci sembra normale, ma non lo è. Il mondo delle donne è più ricco. E, al di là dell’aspetto valoriale, anche per le aziende non è nemmeno conveniente dare questo genere di immagine, visto che le donne sono persone con grande potere d’acquisto. Per questo hanno deciso di “scrivere un manifesto sull’utilizzo responsabile della figura femminile e chiedere alle aziende di sottoscriverlo e di impegnarsi a non abusare né del corpo né del cervello delle donne e neanche a proporre in modo ossessivo degli stereotipi estetici che stanno spingendo generazioni di adolescenti o verso l’anoressia o verso il lettino del chirurgo estetico a 16 anni”.
In questo modo, si vogliono dimostrare tre cose:
Ci sono aziende che non vogliono associare il proprio marchio a immagini irrispettose o semplicemente stereotipate di metà della cittadinanza italiana.
Esiste una crescente quota di mercato pubblicitario che non si accontenta di campagne banali.
È ora di avere direttori marketing e agenzie pubblicitarie più creative e che si rendono conto che il mondo è cambiato.


ANTONIO TOVARELLI, responsabile del controllo pubblicità di Agos Ducato, azienda che ha partecipato anche a Miss Italia, ha ribadito l’impegno dell’azienda a mostrare la donna in contesti quotidiani o reali, seguendo principi di dignità e non discriminazione. Per questo hanno aderito all’iniziativa.


GAD LERNER è stato invitato come conduttore che, nelle sue trasmissioni, sia affronta temi femminili, sia invita le donne come esperte. Per lui non sono sessualità e seduttività a sconvolgere. Piuttosto c’è il problema opposto, che per lui è quello focale: non ci si accorge di come è degenerata una forma di comunicazione intorno alla figura femminile. Sono pochi quelli consapevoli, quelli che viaggiano all’estero e vedono che altrove non è così. E non ci paragoniamo a Paesi con cultura oscurantista. Il meccanismo di replica che si sente in Italia è quello del “così fan tutti”, ma si scontra con i dati di fatto: altrove sono nicchie quelle della comunicazione degradata, qui sembra essere il modello dominante. Si tratta di una battaglia culturale, e ci si scontra con la mentalità della classe dirigente italiana. Non intende politicizzare il problema, perché l’intesa deve oltrepassare gli schieramenti politici, ma non può non notare la misoginia della classe dirigente e il fatto che è redditizio ostentarla. Quello del Manifesto lo considera un risultato importante proprio anche perché è giocato sul piano della convenienza: non è più redditizio promuoversi su ideali estetici basati sulla finzione. A questo ha aggiunto che vede come un risultato il fatto che Antonio Ricci non farà Veline, quest’estate.


MARINA SACCAPANI MISSONI sottolinea che l’azienda di famiglia (da tre generazioni) vuole catturare l’attenzione lavorando sull’immagine. Quella della donna bellissima non sortiva più il suo effetto essendo stata usata e abusata. La ricerca esasperata della perfezione è ora uno schema, una scatola, da cui uscire. La loro punta ad essere una pubblicità transgenerazionale e multiculturale.


BIBIANA FERRARI, managing director di Relight, azienda che si occupa di riciclo dei nuovi rifiuti, ammette che l’impatto ambientale non è declinato al femminile, ma ha una storia molto maschile. Trovare uno spazio non è stato facile. Ma sono un’azienda “al femminile”. Aderiscono all’iniziativa come dovere morale e come gesto concreto.


FILLIPPO DE CATERINA, direttore della comunicazione e marketing di L’Oreal Italia, prende la palla al balzo dalla presidente—che ricorda quanto sia irritante vedere pubblicità con donne giovanissime che parlano della propria pelle matura e di come L’Oreal sia in controtendenza in questo perché ha il coraggio di usare anche donne effettivamente mature—ricordando che già negli anni ’70 loro hanno usato Jane Fonda, nelle loro pubblicità. Il tema dell’immagine femminile lo sentono come una responsabilità forte perché sono leader mondiale nella cosmetica. In Italia, i secondi, terzi e quarti loro concorrenti messi insieme, non arrivano alla loro quota. Sono presenti in 140 Paesi del mondo e devono interpretare la bellezza di tutto il mondo. Questa infatti cambia da Paese a Paese, dipende da caratteristiche fisiche, ma anche culturali. Loro interpretano l’aspetto culturale da punto di vista dei canoni produttivi. Per loro essere attenti alla politica di genere fa parte del quotidiano, per il mercato a cui si rivolgono (una clientela soprattutto femminile). Hanno rispetto di tutte le età, diversamente non sarebbe produttivo anche prima che sbagliato da un punto di vista etico-valoriale. Credono profondamente che il rispetto della donna faccia parte fondamentale di porsi davanti al business. Con L’Oreals Paris, hanno proposto ormai da molti anni “Perché io valgo”, traduzione dell’americano “Because I’m worth it”. Questo slogan ha accompagnato la crescita della condizione femminile: da una donna che doveva essere bella per compiacere il mondo maschile in senso generale, a una donna che prendeva consapevolezza di se stessa e voleva essere bella perché lei se lo meritava. Cambia in questo modo la visione del modo di fare comunicazione. Al suo interno poi L’Oreal è donna per una quota che va da 60 al 70%; lo è il 50% del comitato di direzione italiano e il 35% a livello centrale. Sono numeri di rilievo, ma stanno ancora crescendo. Non vogliono fare solo presenza, ma la volontà è quella di fare una testimonianza, passare da ruolo di persone che lavorano su questi temi a persone che si sono impegnate attivamente. Lo fanno anche su altri fronti. Dal 1998, ad esempio, hanno promosso “For Women in Science”, un premio realizzato insieme con l’UNESCO, che riconosce le donne scienziato a livello mondiale per favorirne la carriera. È diventato una specie di nobel al femminile. Si sono create altre 50 iniziative a livello locale, come stimolo sinergico.


ROBERTA COCCO da vent’anni lavora alla Microsoft (in Italia vi lavorano 850 persone), ma non presenzia solo in veste di direttore marketing, ma anche come responsabile di “Futuro @l femminile”. Ricorda che quando faceva un master le hanno detto “Se non avete idee, usate un bambino o una donna”, e le è rimasto in mente. Il problema è come si fa, però. Non ci sarebbe tutta questa attenzione verso lo stereotipo, se non mancassero modelli al positivo. Ci sono, moltissimi, ma sembrano trasparenti. Bill Gates si dedica molto al sociale e quando chiedono fondi alla corporation per progetti di questo tipo possono averli, ma devono documentare il tipo di impatto che avrebbe la campagna che propongono e deve caratterizzare il Paese a cui è rivolta. Per l’Italia non hanno mai avuto ostacoli nel ricevere fondi a favore delle donne. “Futuro @l femminile” è un progetto di responsabilità sociale di Microsoft e molte altre aziende per promuovere la tecnologia a servizio delle donne, sia nella sfera personale che professionale. Hanno fatto soprattutto moltissima formazione, fino a corsi per l’imprenditoria femminile. Un tema in cui sono impegnati è quello dell’autostima delle giovanissime. Loro si sono voluti occupare in particolare delle preadolescenti (dai 9 ai 14 anni), per vedere come la tecnologia impattasse nella formazione dell’autostima e valutare come l’utilizzo della tecnologia porti a un percorso positivo. In una prima fase hanno raccolto le risposte a un questionario per un’indagine realizzata attraverso il proprio portale. Per avere peso scientifico servivano 500-600quetionari: ne hanno ricevuti 3500. Alcune risposte li hanno colpiti e l’ideatrice del progetto, una fotografa, ha poi contattato le ragazze e ha fatto scatti tutt’ora in mostra alla triennale, che presentano modelli positivi. (Viene mostrato un vido di due minuti in proposito).


ALESSANDRA PERRAZZELLI, presidente di Valore D, associazione che raccoglie aziende e personale femminile che vuole migliorare la capacità di affermazione professionale delle donne, la presenta dicendo che è nata due anni fa. Ora sono più di 45 aziende, di vario tipo che hanno un tema comune: come portare più donne in posizione di rilievo. Si sono chiesti se e come la pubblicità avesse un impatto su quello che fanno, e nell’aderire al Manifesto hanno lasciato le aziende libere di firmare o meno. Quello che notano è che il modello proposto, della donna bella e stupida e fortemente sessuata, crea fortissimo impatto sul percepito, questo perché crea una polarizzazione fra donne bellissime e donne che sono donne-uomo, ovvero come reazione alla iperfenmminilità si crea come risposta la donna coi baffi, una leadership maschile. Idealmente invece, come contro-offensiva, si vuole una leadership che si esprime come femminile. Diversamente le donne vengono private di quello che sanno esprimere. Quanto alla possibilità di fare carriera, è molto rischioso quando il modello è solo uno. Riporta un aneddoto in cui lei stessa è andata a un colloquio di lavoro e la persona che doveva assumerla aveva sulla scrivania una rivista con donna carponi. In quella situazione si è sentita di dover superare “detti e non detti” che mettevano in secondo piano studi ed esperienze. Quell’incontro le ha fatto decidere, all’epoca, di non rientrare in Italia, ma di rimanere all’estero.


EMMA BONINO, vicepresidente del Senato e presidente onoraria di Pari o Dispare, ricorda che questo è un filone che sta cercando di portare avanti da molto tempo ed è contenta che poi ci si aggreghi. Già quando era Ministro, nella nota di Lisbona, sulla situazione del nostro Paese e dello stereotipo con cui vengono presentate le donne, richiamarono i pubblicitari. Quello che si vede è sintomo di pigrizia mentale. E ci si impoverisce sempre più. Non è una campagna per coprire il corpo della donna, ma è culturalmente importante svolgerla perché le immagini stereotipate sono pervasive, entrano in milioni di case di italiani via Rai, Mediaset… Sono di impatto su ragazzine e ragazzini: le ragazze hanno un solo modello da raggiungere e per i ragazzini la ragazza o donna da desiderare deve essere di quel modello. È quindi necessario operare un cambiamento per le nuove generazioni, “oltre che francamente [per il fatto che ] non è simpatico viaggiare dall’autostrada, rientrando a Roma, con un cartello 12x32, con una signorina bellissima, improbabile, in autoreggente nero che striscia su un pannello solare dal sobrio titolo ‘Montami’”, non è proprio il massimo del Made in Italy. Il degrado è meglio arginarlo. L’iniziativa è di incitazione perciò. Il brutto può diventare di moda, ma anche il bello lo può, può esserci una china a rovescio. C’è il comitato della ministra Carfagna che viene usato per togliere queste pubblicità. Sono utili gli strumenti di correzione delle istituzioni, ma serve anche rovesciare la tendenza. Ha partecipato anni fa a un convegno, in cui erano presenti anche Serena Dandini e la Cortellesi ,in cui si ironizzava sulla rappresentazione che si fa delle donne. Alla fine l’ironia è diventata greve. La pubblicità è un grande strumento, usato da televisioni e carta stampata. Invertire la tendenza è fare un passo avanti. Non vogliamo essere vittoriani e mettere la gonna alle gambe del tavolo, né vogliamo il proibizionismo, ma la situazione è anche un po’ patetica. La “potenzialità del valore al femminile nel nostro Paese è e continua ad essere sottovalutata”. Poi è normale che le donne trovino in campo professionale “il soffitto di cemento”. Deve cambiare la politica, e non è una politica degli ultimi anni, viene da lontano ed è solo stata ora accelerata. Il fatto che l’intero Welfare del nostro paese è sulle spalle delle donne è perché fa comodo a molti, non è un destino cinico e baro. Va rimessa in discussone questa politica, e insieme a questa, per renderla più efficace, bisogna lavorare di pari passo sul fronte della rappresentazione. Non è vero che le donne sono tutte brave, tutte intelligenti… non siamo una categoria, né un sindacato. Non tutte la pensano allo stesso modo ed è bene: siamo persone che vogliono essere valutate ed apprezzate per quanto valgono. A volte dobbiamo anche avere il coraggio di non aspettare di essere co-optate, stando in un angolo sperando che qualcuno si accorga di te. Bisogna dire “io voglio quel posto lì”. Spera che tutte le iniziative facciamo venir voglia di lottare. Una giusta rappresentazione rende il Paese migliore per tutti, più equilibrato, anche umanamente, e lo rende un luogo in cui per tutti è più piacevole vivere".

lunedì 4 luglio 2011

SE NON ORA QUANDO UN PAESE PER DONNE?



Prosegue la mobilitazione organizzata dai comitati di “Se non ora, quando” che il 13 febbraio 2011 ha riempito le piazze d’Italia in difesa della dignità delle donne. Ora, la manifestazione si sposta a Siena il 9 e il 10 luglio con l’obiettivo ambizioso, esplicitato dalla regista, scrittrice e sceneggiatrice Cristina Comencini, di portare l’Italia a un governo al 50% femminile e maschile.
I dati ci dicono che le donne italiane studiano, si professionalizzano, raggiungono livelli di eccellenza in molti campi. Ma sono donne, vogliono esserlo, e questo basta, nel nostro Paese, perché non entrino nel mercato del lavoro (il 50% è senza occupazione)”, si legge sul sito. “Vogliamo difendere noi stesse, il nostro presente e il nostro futuro perché una cosa è chiara: un Paese che deprime le donne è vecchio, senza vita, senza speranza”.

SE NON ORA QUANDO UN PAESE PER DONNE?
il 9 e 10 luglio, a Siena
Santa Maria della Scala
L’incontro è aperto anche agli uomini.
Per informazioni, adesioni e suggerimenti, si vada al forum http://phpbb.forumgratis.com/senonoraquando.html