lunedì 18 luglio 2011

UNA BOMBA ATOMICA SULLA MATERNITÀ A TUTTI I COSTI



“Da che mi ricordo non ho mai voluto diventare madre. Dall’età di 12 anni, quando facevo la baby sitter per i figli dei vicini per 75 centesimi all’ora e passavo l’intera giornata chiusa fuori casa mentre i bambini correvano selvaggiamente all’interno, la maternità non ha mai fatto per me. Ero incapace di prendermi cura di qualcuno più piccolo di me: avevo un blocco mentale – una reale antipatia – verso la costruzione di cappellini di carta e altri progetti che si suppone piacciano ai bambini”.
Questo confessa candidamente Rahna Reiko Rizzuto nel suo libro Hiroshima in the Morning. Dieci anni fa l’autrice aveva vinto una borsa di studio per fare ricerca sull’esperienza della bomba H in Giappone, intervistando i sopravvissuti in vista di un libro che in realtà ha finito per fare scalpore per gli elementi più personali del suo lavoro.
Nel raccontare della propria esperienza all’estero infatti, la Rizzuto ha riferito anche della propria esperienza di ricerca e della svolta che nel suo lavoro e nella sua vita ha costituito il trovarsi in Giappone durante l’11 settembre 2001, mentre il marito e i due figli erano a New York. Sì, perché la Rizzuto ha nel frattempo avuto due figli, accordandosi col marito che sarebbe stato lui a prendersene primariamente cura.
E così, nel raccontare delle interviste agli hibakusha e della sua avventura personale, ha accompagnato il lettore nella sua riscoperta di se stessa non più definita in relazione al ruolo sociale che aveva negli USA – come moglie e come madre – ma come se stessa. Ha potuto ri-scoprirsi e ri-conoscersi, esplorando possibilità prima non immaginate e arrivando all’inaspettata conclusione di non volere essere una madre a tempo pieno ma di volere dare nuovamente a se stessa la priorità.
E così, al suo rientro negli USA, la scrittrice ha lasciato il marito e i figli e ne ha dovuto affrontare le conseguenze. Come ha confessato alla trasmissione Today in un’intervista del marzo 2011, alcuni tra i suoi amici le hanno addirittura tolto la parola.
Eppure, non è questo che succede spessissimo ai padri? A un ceto punto alcuni si rendono conto che la famiglia non fa per loro e si separano, scegliendo una vita diversa e lasciando i figli alla moglie. Succede talvolta. Niente di scandaloso. Perché allora lo scandalo ora? Perché la critica “Non avrebbe dovuto avere figli se non li voleva” non estende la stessa valutazione anche agli uomini?
Io lo faccio. Penso che sia pericolosa e dannosa questa aspettativa condivisa di genitorialità a tutti i costi, sia per i padri che per le madri. Essere genitori può essere una esperienza splendida, ma se non si sente dentro di sé questo desiderio, bisognerebbe avere la saggezza di non fare figli, e questo vale sia per gli uomini che per le donne.
Per le donne c'è una doppia pressione però, perché ci si aspetta non solo che facciano figli, ma che li debbano comunque desiderare, che l'istinto di essere madri sia innato e presente in tutte le donne nello stesso modo e con la stessa intensità. Così, appena fidanzate - Quando ti sposi? Appena sposate - A quando un bambino? Dopo il primo figlio - A quando il secondo?

In fondo la Rizzuto vive affianco ai suoi figli, li vede regolarmente e ne ha l’affido congiuntamente al marito, trascorrendo con loro momenti migliori di quanto le sarebbe stato possibile se si fosse sentita fagocitata dalla maternità rimanendo all’interno della famiglia. Il tabù è quello dell’istinto materno come connaturato all’essenza femminile. La Rizzuto ha osato infrangere quel tabù.
L’intervista di Today alla dr.ssa Argie Allen, la direttrice di formazione clinica presso l’università di Drexel, è molto condivisibile a questo proposito: “Spesso nella nostra cultura siamo molto giudicanti e pensiamo ci sia un solo modo di fare la madre, un solo modo di fare i genitori. La verità è che non è così: ci sono molti modi di fare le madri e di fare i genitori che possono essere molto positivi”, spiega la Allen. “Bisogna capire che cosa funziona meglio per quella madre affinché dia il suo meglio ai propri figli. E se si pensa che sia necessario annullare se stesse, spesso questo purtroppo significa che chi fa così ha l’illusione di dare il massimo ai propri figli, ma la verità è che potrebbe non essere così”.
Il libro è bello e illuminante, non solo per questo aspetto. Da leggere per riflettere sugli effetti della bomba atomica reale e su quella metaforica sui nostri pregiudizi sugli altri e su noi stessi.  

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